Marate | Museo per l'Arte del Rame e del Tessuto
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OMAGGIO A MARIA DI ISILI (Cristian Mannu)

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Tessitura: eseguita su telaio orizzontale
Tecnica: Isilese, unu in denti, a tentura
Pettine: 40/10 misure 1,65 x 0,84
Ordito: cotone
Materiali: rame, lana sarda grezza, carta, cotone, lanetta
Disegni tradizionali: sa regineta, sa puddixedda tremi tremi, is casteddus, is pitzus, s’àchili
Colorazione: naturali, robbia, alaterno, noce, cocciniglia
Periodo di realizzazione: 2016

L’UNIVERSO TESSILE IN PAROLE

L’UNIVERSO TESSILE IN PAROLE

Cristian Mannu racconta la tessitrice Dolores Ghiani di Isili

“Mi piacerebbe raccontarvi che fu amore a prima vista: la lana, le dita che lo snodano, il legno, i piedi che battono veloci.
Mi piacerebbe tanto, ma non è così che è andata tra me e lui”. Mi dissero: “Doloretta, serve che lavori. Servono soldi per campare. E con l’arte, coi disegni tuoi, lo sai che non ci vivi neanche un giorno.”

Mi misero davanti a quell’aggeggio enorme che avevo visto usare da tutte le donne del paese. Mi diedero immagini da copiare: animali stilizzati, arbusti, donne e uomini con storie che però non conoscevo. Mi dissero “qui a Isili ricordati che è ancora più difficile, perché il telaio l’abbiamo usato sempre al contrario.” Ho imparato. Non subito, ma ho imparato. Anche se di malavoglia. Per una vita ho continuato a ripetere le formule che mi avevano insegnato. Ho fatto tappeti e arazzi in serie, perché erano quelli che la gente ci chiedeva, perché erano quelli che si vendevano al mercato, nelle botteghe, in giro per le fiere. Ho ripetuto disegni senza pensare a quello che facevo. E mi annoiavo. Tanto mi annoiavo. Mi divertivo solo ad andare in giro per i boschi, immaginarmi le case abitate dalle janas, scegliere i fiori più belli per le tinte, disegnarli e colorarli con le tempere. Quando tornavo a casa ed ero sola, mi dicevo “ma perché non provi a fare quello che ti piace?” Non mi ricordo il giorno esatto in cui decisi di provare. Ricordo però che fu l’esatto giorno in cui capii per la prima volta in vita mia la parola “libertà”. Presi la lana che avevo preparato con le piante, e fili lunghissimi e sottilissimi di rame, e lino, cotone.

Chiusi gli occhi per un attimo.

Immaginai una storia.

Parlava di una donna come me, di un uomo bello ma dannato. Parlava di un cavallo, nero e velocissimo, di una sorella, di un paese, di una
città bianca che divora chi la abita.

Iniziai a comporre sul telaio, per ore e ore, senza sentire noia né fatica.
Diventai jana, da quel giorno. Così mi disse chi vide la mia storia su quell’arazzo luccicante.
Io so solo che da allora non smisi mai più di essere libera.

Dalla pagina facebook di “Andando via. Omaggio a Grazia Deledda” qui riportato con il permesso dell’autore

 

 

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